Dott. Raffello Cortesi

Tesi di specializzazione

Dott. Franco BRUNO

La Recidiva Ortodontica Lo Stato dell’Arte


UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAGLIARI

FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA

SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE IN ORTOGNATODONZIA

Direttore Prof. Vincenzo Piras

 

La Recidiva Ortodontica Lo Stato dell’Arte: Analisi e Prevenzione

Metodiche di Contenzione

Tesi di Specializzazione del Dr Franco Bruno

 

Relatore:Prof. Vincenzo Piras

Correlatore: Dr Umberto Giganti

 

Anno Accademico 2006/2007

 

INTRODUZIONE La contenzione viene definita come quella fase del trattamento ortodontico che ha come obbiettivo quello di mantenere i denti nella loro corretta posizione al termine del trattamento attivo, ed è quindi parte integrante del trattamento stesso ( Littlewood 2004). Senza una fase di mantenimento, il trattamento ortodontico risulta potenzialmente instabile e può comportare il ritorno alla situazione precedente al trattamento , oppure ad una nuova malocclusione; a causa di 3 maggiori problemi: a) i tessuti gengivali e periodontali modificati dal trattamento ortodontico necessitano di tempo per riorganizzarsi dopo la rimozione dell’apparecchiatura; b) i tessuti molli che circondano la cavità orale esercitano una pressione che può comportare recidiva; c) i cambiamenti prodotti dalla crescita possono alterare l’allineamento dei denti ( Proffit 2005). La recidiva interviene quando queste forze muovono i denti in modo sfavorevole rispetto alla loro corretta posizione. Per minimizzare i rischi di recidiva la quasi totalità dei pazienti ortodontici necessita un apparecchiatura di mantenimento (Littlewood 2004). La contenzione viene effettuata tramite apparecchi che vengono, in modo generico, chiamati “retainers”. Vi sono diversi tipi di retainers, sommariamente divisi in due gruppi: fissi e mobili. La tipologia di retainer utilizzato e la durata della contenzione varia da un paziente all’altro, nonché dalla scelta dell’ortodonzista. Tuttavia, esiste una teoria largamente accettata che sostiene che la contenzione debba durare come minimo per il tempo necessario per la riorganizzazione parodontale. Sfortunatamente, anche in pazienti che hanno portato la contenzione per almeno un anno, la stabilità post-trattamento a lungo termine si è dimostrata

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insufficiente, con un’incidenza di recidiva in circa il 50% dei casi come evidenziato dal noto lavoro di Little del 1990. Prima di affrontare il problema nella sua complessità possiamo osservare che analizzando la letteratura alla ricerca studi che investigano l’efficacia o meno della contenzione in ortodonzia, appare evidente che non esistono studi di tipo randomizzato. E’ noto che questo tipo di studi offre l’evidenza più convincente, d’altra parte è ovvio che non vengono effettuati per motivi etici, semplicemente nessuno studio vuole assegnare dei pazienti ad un gruppo di controllo che non riceve alcun tipo di contenzione.

Poiché non esistono studi randomizzati che dimostrino la reale efficacia della contenzione ortodontica abbiamo analizzato la letteratura alla ricerca di altri tipi di studi che possano aiutare a comprendere l’efficacia o meno della contenzione in ortodonzia. Generalmente questi studi cercano di analizzare l’efficacia di un metodo di contenzione rispetto ad un altro.

LA RECIDIVA Il problema della recidiva ortodontica è stato oggetto di una mole di letteratura fin dagli albori dell’ortodonzia scientifica. A dispetto della quantità di pagine pubblicate abbiamo ora la revisione sistematica della letteratura effettuata dalla Cochrain che evidenzia dati ben poco confortanti. al di là dei risultati di questo lavoro che, semplificando, evidenzia come non esistano dati sufficienti per definire quale sia la migliore contenzione e come debba essere effettuata, un fatto

certo in letteratura è che la contenzione è da considerarsi parte integrante del trattamento ortodontico, una sua fase vera e propria e non tanto una sorta di protezione al termine di una terapia. L’imbarazzo insito nel concetto stesso di recidiva spiega le difficoltà nell’affrontare seriamente questa problematica.

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E’ ovvio che qualunque terapia medica che comporti una possibilità di insuccesso o di recidiva della patologia comporta problemi etici e deontologici al clinico che si acuiscono, nel nostro caso, in base alle considerazioni sulla reale necessità del trattamento ortodontico.

Non è una novità sostenere che la reale necessità “medica” di trattare i pazienti con malocclusione è quantomeno discutibile. La problematica emerge dall’analisi delle patologie correlate con i vari tipo di malocclusione. E’ ormai un dato assodato in letteratura il fatto che sono ben poche le malocclusioni che comportano un reale rischio patologico ai pazienti. Alla fine l’esigenza principale del trattamento ortodontico è e rimane estetica. Ma proprio il fatto che la terapia ortodontica abbia primariamente un carattere di miglioramento estetico dei soggetti aumenta le problematiche deontologiche legate al problema della recidiva. E’ ovvio che, se l’obbiettivo principale del nostro trattamento, è il miglioramento estetico dei pazienti, il fatto che questo sia soggetto a peggioramento o recidiva nel tempo pone questioni di approccio al trattamento di notevole importanza. D’altro lato sembra semplicistica e non risolutiva, almeno in termini etici, la posizione di alcuni autori che vede nella contenzione a vita la soluzione del problema. Questo è un arrendersi all’evoluzione bio-cronologica del soggetto, cronicizzando un problema che non si è capaci di risolvere. Probabilmente la questione deve essere affrontata da un altro punto di vista più medico e biologico e meno “odontoiatrico” o “odontocentrico”. Le basi razionali per la soluzione di questo problema possono trarre origine da due fatti. a) definire le cause esatte della malocclusione e determinare se la terapia sia o meno in grado di eliminarle al fine di garantire una stabilità nel tempo della correzione effettuata.

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b) differenziare e separare la recidiva ortodontica dai fenomeni di invecchiamento “normali” della bocca. E’ ovvio che la terapia ortodontica può occuparsi di correggere le problematiche in essere ed eventualmente cercare di prevenire una loro ricomparsa ma non può, in senso stretto, occuparsi di garantire la prevenzione delle eventuali modificazioni che più o meno fisiologicamente avvengono nella dentatura durante gli anni. Questo potrebbe essere oggetto di una terapia differente destinata a “proteggere” o prevenire i segni dell’invecchiamento della dentatura che possono non essere direttamente correlati con la malocclusione precedente.

Questo punto di vista comporta un cambiamento radicale di approccio al paziente ortodontico. Cambiamento che deve procedere tramite una presa di coscienza dei clinici e un’informazione corretta dei soggetti e dei loro genitori ( problema che complica ulteriormente la questione proprio in quanto nella maggior parte dei casi il rapporto è mediato essendo la quasi totalità dei pazienti in età infantile). Se affrontato da questo punto di vista il problema dovrebbe vedere un modello differente di consenso informato che preveda l’informazione dell’esatta tipologia di malocclusione, delle possibilità di risoluzione, dei rischi di recidiva sulla

base di un grading standardizzato e diviso per frequenza e difficoltà di contenzione e, per finire, l’evidenza delle possibili evoluzioni future della dentatura e la differenziazione di queste dalla recidiva del trattamento. E’ ovvio che per arrivare a questo tipo di approccio sono necessari maggiori studi e maggiori certezze su quella che è la fisiologica evoluzione della dentatura umana così da poter guidare i pazienti nella scelta. Appare evidente fin da subito la difficoltà di approccio di un simile modello almeno in alcuni casi. Ad esempio appare ormai assodato il concetto che un affollamento nel settore anteriore inferiore sia una quasi ineluttabile condizione per

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almeno il 70% della popolazione di razza caucasica. Al di là delle considerazioni sulle cause di questo problema è ovvio come sia difficile spiegare ad un paziente, od ad un genitore, che un affollamento in situazione di dentatura mista precoce può essere corretto ma che un suo ripresentarsi tra i 20 ed i 30 anni non è la recidiva alla situazione precedente bensì una evoluzione differente legata ai fenomeni di maturazione e di invecchiamento della bocca Ovviamente questo comporta anche un rischio di diminuzione dell’accettazione della terapia ortodontica in quanto la presunta ineluttabilità di un peggioramento può portare alla considerazione dell’inutilità del trattamento stesso. Tornando alla recidiva vera e propria il problema principale deve consistere nella classificazione e differenziazione delle varie problematiche e nella determinazione di un grading di possibili recidive. Certamente un problema spesso mancante o scarsamente analizzato dalla letteratura è la percentuale di correzione della malocclusione e la correzione delle cause eziologiche della stessa. In medicina dobbiamo sempre differenziare le terapie sintomatologiche da quelle eziologiche.

LA CONTENZIONE Sulle problematiche riguardante la contenzione ortodontica e sulle recidive dei trattamenti è stato scritto e detto molto. Analizzando la letteratura possiamo, in via preliminare, osservare che esistono opinioni variabili, spesso in contraddizione tra loro, tra i vari autori. Lo scopo di questo lavoro è quello di analizzare criticamente alcune di queste opinioni e di esporre la filosofia di pensiero e la metodologia di approccio a questa tematica proposta dalla scuola Bioprogressiva nonché dalla filosofia Zerobase del Dr. Carl Gugino così, come interpretate dallo scrivente. Analizzando la letteratura la prima problematica che si evidenzia è la

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discordanza di pareri tra i vari autori sulla durata che dovrebbe avere la contenzione. Sono state avanzate proposte che spaziano dalla “non contenzione” alla “contenzione a vita”. In aggiunta sovente alcuni autori, molti dei quali più che autorevoli, sorvolano sul problema della durata della contenzione: semplicemente ignorano la questione. L’analisi della letteratura ci consente di estrapolare quelle che, secondo vari autori, sono le variabili che maggiormente dovrebbero influire sulla durata della contenzione. Il numero di denti mossi ortodonticamente, la quantità di movimento che questi denti hanno subito, l’occlusione, l’età dei soggetti, la causa di malposizione, la rapidità del trattamento, il grado di rotazione corretto, la profondità delle cuspidi e, per finire, la salute dei tessuti. L’ortodonzista dovrebbe confrontarsi anche con i piani inclinati, la dimensione dell’arcata e la sua armonia,

la pressione muscolare, i contatti prossimali, il metabolismo cellulare e, financo, la pressione atmosferica. I movimenti di lieve entità dovrebbero essere più difficili da mantenere rispetto a quelli di maggiore importanza, una contenzione efficace dovrebbe dipendere dalla modifica della struttura e della funzione dei tessuti, la funzione stessa dovrebbe essere il principale fattore di contenzione, l’ipercorrezione di ogni movimento rappresenta la premessa indispensabile per un’adeguata contenzione, la contenzione dipende da modifiche ossee che, in ultima analisi, sono correlate a funzioni e disfunzioni endocrine, l’adattamento funzionale dell’occlusione e l’inerente crescita. La contenzione è un fattore correlato alla base apicale od a sue limitazioni, gli incisivi inferiori dovrebbero essere diritti rispetto all’osso basale, esistono discrepanze dimensionali tra i denti che predispongono alla recidiva, il trattamento precoce dovrebbe essere preferibile a quello tardivo, la distanza intermolare ed intercanina non dovrebbero essere modificate, dovrebbe essere

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sempre preferibile un trattamento di tipo funzionale o, in alternativa, raggiungere un equilibrio muscolare. Per quanto riguarda la durata della contenzione possiamo, come già detto, verificare la divergenza di opinione tra vari autori. Kingsley suggerisce una contenzione per 2 o 3 anni. Pullen suggerisce di far portare elastici di II° o III° classe indefinitamente per mantenere la correzione ottenuta. Ottolengui osserva come 4 pazienti abbiano portato la contenzione fino a quando non si sono sposate…..

Hawley, come è noto, sostenne già nel 1919: “If anyone would take my cases when they are finished, retain them and be responsable for them afterward, I would glady give them half the fee.”. Paul Rogers fu il primo ad introdurre il concetto di bilanciamento muscolare e di corretta funzione muscolare come base per la contenzione.

In ultima analisi potremmo affermare che il dato più significativo della letteratura consiste nel parere concorde della maggior parte degli autori sul fatto che la contenzione non rappresenta un momento separato rispetto alla terapia ortodontica, ma che è una parte integrata nel trattamento stesso e che andrebbe pianificata fin dall’inizio insieme al trattamento attivo vero e proprio. La nostra visione del problema parte proprio da quest’affermazione, cioè dal presupposto che la contenzione è parte integrante del trattamento ortodontico, rappresentandone una fase. In altre parole il trattamento ortodontico non sarebbe più divisibile schematicamente in due fasi (precoce e tardivo) ma in tre: precoce, tardivo e contenzione. Questo determina la necessità di una pianificazione e di procedure e meccaniche adeguate ed appositamente studiate.

Noi sosteniamo che la stabilità dei risultati del trattamento ortodontico sono ( o almeno dovrebbero essere) uno degli obbiettivi primari del trattamento stesso.

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Senza stabilità non può esistere una buona funzione ed una buona estetica. La contenzione, probabilmente, è un problema del trattamento dipendente dall’occlusione raggiunta ed è correlata e conseguente ad un adeguato bilanciamento muscolare, inoltre ambedue dipendono dalla quantità di osso basale ottenuto e dal rapporto tra le basi ossee.

Le recidive e/o le modificazioni post-trattamento e la conseguente contenzione dovrebbero essere oggetto di una classificazione e di una codificazione così da

essere parte integrante del trattamento e della sua pianificazione. In altre parole le singole modifiche post-trattamento dovrebbero essere valutate singolarmente sulla base della loro tipologia, del tempo di insorgenza probabile dopo la fine del trattamento attivo e delle metodiche di prevenzione. Questo porta ad un conseguente cambiamento dell’approccio alla pianificazione del trattamento ortodontico. Dopo ave analizzato i goals da raggiungere con il trattamento attivo, dovremo analizzare per ogni singolo movimento la probabilità relativa di recidiva e la metodologia di contenzione identificando fin dall’inizio della terapia i “goals di contenzione” del trattamento stesso. Sulla base di questo ragionamento potrebbero essere valutate le alternative terapeutiche sulla base della loro intrinseca probabilità di recidiva scegliendo “ ab initio” quelle con maggiore stabilità, programmando da subito, per ogni scelta terapeutica la metodologia propria di contenzione che dovrà portare ad un flusso di contenzione specifico sviluppato sul singolo caso. La naturale conseguenza di questo approccio porta inevitabilmente ad un cambiamento negli obbiettivi e nell’approccio al trattamento ortodontico. La base di discussione con il paziente non dovrebbe più essere il miglior risultato occlusale o estetico raggiungibile ma il miglior risultato stabile raggiungibile.

Fattore fondamentale nella stabilità e nella programmazione della contenzione

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dovrebbe essere l’eliminazione delle cause di malocclusione. Purtroppo non sempre ciò è possibile anche se, il progredire della tecnologia e degli strumenti diagnostici, oltre all’incremento delle nostre conoscenze, riducono sempre più il campo dell’aleatorietà.

LE CAUSE DI MALOCCLUSIONE E’ noto che alcune abitudini possono essere la causa di malocclusione come ad esempio il succhiamento del dito, l’interposizione labiale o la spinta linguale anche se molto spesso è di grande difficoltà diagnostica determinare la causa primaria di queste. D’altra parte, per quanto concerne l’analisi che stiamo facendo, non è di fondamentale importanza determinare se alcune di queste abitudini siano primarie o secondarie alla malocclusione stessa. Per quanto riguarda la contenzione la loro persistenza è di solito causa di recidiva e, quindi, la loro eliminazione è alla base della stabilità del trattamento. Esistono, come è noto, moltissime malocclusioni che non hanno un’apparente causa o spiegazione o che presentano enormi difficoltà nella diagnosi delle loro cause determinanti. Certamente esiste una qualche “percentuale” di cause ereditarie che predispongono o causano malocclusione. Molti autori sostengono che dal 25 al 30% delle malocclusioni sono determinate da cause “locali” e che sarebbero prevenibili o prevedibili; come ad esempio perdita troppo precoce o tardiva dei denti decidui. Le malocclusioni su base certamente ereditaria rappresenterebbero non più del 5% del totale delle malocclusioni. La restante percentuale di casi ( circa 65%) dovrebbe vedere l’interrelazione di cause ereditarie e locali, nonché razziali e funzionali. L’IPERCORREZIONE L’ipercorrezione viene sempre indicata come base di una adeguata stabilità

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del trattamento. Questo è un problema sia filosofico sia pratico che non sempre può essere effettuato ( almeno per tutti i movimenti ortodontici) e deve essere

pensato sulla base dell’approccio terapeutico. Ad esempio uno dei movimenti ortodontici a maggior “rischio” viene considerato la derotazione. Ma molto spesso la sua ipercorrezione è impossibile tecnicamente oltre a non essere accettata dai pazienti. In effetti, l’ipercorrezione di una rotazione premolare richiede un extraspazio in arcata non sempre raggiungibile, oppure quale paziente accetterebbe a fine trattamento una iper-rotazione di un incisivo? Con il suo conseguente impatto estetico? Vi è, poi, da aggiungere che l’ipercorrezione comporta anche problemi etici e deontologici. Non essendo prevedibile la recidiva e soprattutto la sua entità come dovrebbe comportarsi l’ortodonzista se, per cause variabili, in un caso di ipercorrezione non dovesse avvenire la recidiva auspicata ( o ricercata)? Sarebbe necessario un ritrattamento per correggere l’ipercorrezione…..

L’OCCLUSIONE COME FONTE DI STABILITA’ Grande enfasi viene data all’occlusione ed all’intercuspidazione come determinante per la stabilità post-trattamento. A nostro parere questi concetti dovrebbero essere attualizzati sulla base dei più recenti modelli fisiologici e funzionali. E’ ormai un fatto accettato che il tempo nel quale i denti restano a contatto durante la giornata è limitato se non insignificante. Si ritiene che solo durante la deglutizione i denti vengono realmente a contatto, anche se le evidenze elettromiografiche dimostrino che solo una minima parte dei pazienti ortodontici deglutisce a denti serrati. Al contrario, è ormai sorta una linea di pensiero che mette in discussione l’assioma stesso della deglutizione con intercuspidazione sostenendo che non è ( almeno in tutti i casi ) un ideale “fisiologico”, ma si tratta di

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un preconcetto ortodontico o logopedico che nulla ha a che vedere con la fisiologia. Probabilmente solo una minoranza di soggetti deglutisce “normalmente” con i denti a contatto, o, perlomeno solo saltuariamente. Di conseguenza l’occlusione in se dovrebbe rivestire un’importanza relativa. Gli ortodontisti sono abituati a valutare i casi ortodontici in massima intercuspidazione, e difficilmente potrebbero fare altrimenti. Ma il paziente non “vive” in massima intercuspidazione al contrario passa la maggior parte del suo tempo in “rest position” oppure parafunzionando, ma quasi mai in massima intercuspidazione. Da queste considerazioni emerge il fatto che ortodonticamente dovremmo riuscire ad analizzare monitorare e valutare i casi in posizione di riposo cercando di capire quale sia l’attività muscolare e la funzione linguale in questa situazione. E’ ovvio che ciò è pressoché impossibile e quindi le nostre impressioni sui rapporti intermascellari del soggetto sono quantomeno aleatorie. Per i nostri scopi, ed in particolare per quanto riguarda la stabilità del trattamento, sarebbe fondamentale anche poter valutare i pazienti in rapporto alle loro parafunzioni. Quasi tutti i soggetti parafunzionano in qualche modo, le differenze consistono principalmente nell’intensità, nella durata relativa e nella frequenza dei fenomeni. Certamente le spinte parafunzionali sono di importanza fondamentale nel provocare recidive o movimenti dentali indesiderati che, seppur non rappresentando una recidiva vera e propria, si configurano come tali in rapporto al risultato ortodontico ottenuto. Queste considerazioni devono anche portarci ad una rivalutazione del concetto di equilibrio che è alla base della stabilità e dell’evoluzione della situazione dentale di un soggetto.

L’EQUILIBRIO FUNZIONALE

L’analisi della letteratura evidenzia come la maggior parte degli autori siano

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concordi nel sostenere che una malocclusione, qualunque malocclusione, se “relativamente” stabile rappresenta il risultato di una situazione di equilibrio funzionale in rapporto alle basi ossee, alla loro posizione ed al rapporto tra denti e basi ossee. Ma questo equilibrio non avviene in massima intercuspidazione bensì in due ben distinti momenti: la posizione di riposo ed “i momenti parafunzionali”. Sono queste due condizioni che determinano la posizione finale dei denti. Qualunque trattamento ortodontico, comunque sia condotto, rompe o modifica questa situazione di equilibrio e, quindi, la stabilità andrebbe ricercata non in massima intercuspidazione bensì nelle due situazioni summenzionate. Appare evidente che è molto difficile realizzare questa condizione e quindi poter ottemperare a questa esigenza.

Non vi sono dubbi che esista un equilibrio. Per definizione, un corpo è in equilibrio quando la somma delle forze a cui è sottoposto è uguale a zero, così che rimane fermo o in moto rettilineo uniforme. Vale a dire non subisce accelerazioni. Questa definizione può applicarsi ai denti quando sono soggetti a numerose forze di varia direzione ed intensità, ma essi rimangono stabili ( almeno per la maggior parte del tempo ) nell’arcata dentale. Durante la masticazione non soltanto si muovono leggermente i denti, ma anche l’osso alveolare e basale si piegano e si flettono. Questi cambiamenti avvengono in una frazione di secondo, e denti e ossa ritornano nella loro posizione e forma originale velocemente quanto si sono mossi. Per questo motivo quando il tempo di osservazione è in minuti, ore o giorni, i denti risultano stabili a dispetto delle forze che agiscono su di loro. La dentatura naturale è stabile in un lasso di tempo di anni dopo il termine del periodo di crescita. Le apparecchiature ortodontiche provocano, come è intuibile, movimenti che sono alquanto diversi rispetto alla situazione “naturale” e ciò dimostra come alterino uno stato di equilibrio.

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Angle pensava che la recidiva fosse dovuta a forze sui denti causate da un ambiente improprio. E’ difficile, anche al giorno d’oggi, disconoscere la validità di questo punto di vista. La pressione della lingua o delle labbra o la forza di eruzione dei terzi molari tutte assieme provocano delle semplici ed invisibili cause di recidiva.

Fattori primari di equilibrio

1) Forze intrinseche della lingua e delle labbra. 2) Forze estrinseche: abitudini ed apparecchiature ortodontiche. 3) Forze correlate all’occlusione 4) Forze derivanti dal legamento parodontale

A) forze intrinseche della lingua contro le labbra. Poiché i denti sono posti tra le labbra e le guance da un lato e la lingua dall’altro, le forze o pressioni opposte di questi organi dovrebbero essere il principale determinante dell’equilibrio dentale. Ma anche una valutazione superficiale di questo equilibrio non può prescindere da una differenziazione dell’intensità di queste forze rispetto alla durata della loro applicazione. Altre considerazioni vanno fatte. La pressione linguale e labiale durante la deglutizione

variano molto da persona a persona e non sono correlate alla posizione dei denti. In aggiunta, la pressione linguale e labiale durante la deglutizione non si bilanciano mai. Gli studi strumentali dimostrano come la pressione linguale durante la deglutizione sia di vari ordini di grandezza maggiore rispetto a quella delle labbra e delle guance che dovrebbe opporvisi. Conseguentemente appare logico pensare che la variabile principale possa essere il tempo, cioè una durata

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maggiore della pressione labiale, anche se di intensità minore, contrasta adeguatamente la spinta linguale. Anche in questo caso l’evidenza strumentale è negativa. L’analisi integrale della pressione/durata evidenzia sempre una forza maggiore in favore della lingua. La conseguenza è che la pressione durante la deglutizione non è bilanciata. L’apparato dentale è adattato a resistere a forze di breve durata come quelle generate durante la masticazione, la fonetica o la deglutizione; forze della durata di massimo 1 secondo. L’insieme di queste considerazioni, e degli studi vari effettuati, evidenzia come l’equilibrio della dentatura non sia determinato solamente dalle forze opposte della lingua e delle labbra. Devono coesistere altri fattori. B) Forze estrinseche: pressione esterna, abitudini e apparecchi ortodontici E’ noto come il movimento dentale sia ottenibile anche con forze di pochi grammi purché queste forze siano mantenute in modo continuo. La forza eccessiva può essere distruttiva. La durata di una forza è la variabile principale di un trattamento ortodontico, certamente più importante dell’intensità. Lo stesso può essere applicato a forze esterne dovute ad abitudini. Maggiore è la durata dell’abitudine, maggiore sarà il suo effetto sui denti. Le forze estrinseche sono sufficientemente efficaci quando la loro durata è intorno al 50% del tempo, e un qualche effetto può essere prodotto anche dalla durata di qualche ora. Al di sotto di questi limiti non si osserva alcun effetto. Analogamente possiamo pensare che la pressione di riposo della lingua e delle labbra abbia una durata che è fondamentale per il raggiungimento dell’equilibrio dentale, ma i picchi di pressione di breve durata provocati dalla deglutizione e dalla fonazione sono insignificanti in quanto la loro durata complessiva non è che di qualche minuto al giorno. C) Le forze occlusali

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L’apparato di sostegno parodontale è, di fatto, un sistema idrodinamico di smorzamento, simile ad un ammortizzatore di automobile. Se i denti si riposizionano autonomamente in risposta alle forze occlusali, non dovrebbe essere indispensabile per i dentisti fare attenzione alle relazioni occlusali stesse. In effetti, i denti provvedono a adeguarsi a piccole discrepanze. Questo avviene soprattutto al termine del trattamento ortodontico quando i denti sono maggiormente mobili e il legamento parodontale è in fase di riorganizzazione. Altrimenti è esperienza comune che il dente rimane in uno stato di occlusione traumatica piuttosto che spostarsi al di fuori della zona di contatto dentale anomalo.

Nonostante il meccanismo di dissipazione delle forze occlusali di breve durata, cosicché i denti non si intrudono permanentemente né si spostano lingualmente o vestibolarmente a causa di queste, le forze occlusali possono avere una importanza fondamentale nel determinale la posizione verticale dei denti. La posizione verticale dei denti è determinata dal bilanciamento delle forze che

promuovono l’eruzione dentale e da quelle che vi si oppongono. Nei pazienti che hanno perso i denti naturali, la posizione di riposo della mandibola è determinata indipendentemente dal livello degli eventuali denti di sostituzione. E’ noto che modificare il livello della dentatura naturale comporta un’alterazione della posizione di riposo. Se i molari vengono estrusi ortodonticamente, la mandibola ruota posteriormente proporzionatamente alla modifica del contatto occlusale e determina un cambiamento della rest position. D) Forze derivanti dal parodonto e le forze di eruzione Il reale meccanismo di eruzione dentale rimane tuttora non completamente conosciuto. La forza eruttiva si mantiene anche dopo che il dente arriva in occlusione e si è stabilita una funzione. L’eruzione prosegue durante la crescita

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verticale della faccia. Il primo molare superiore erompe di circa un centimetro tra l’età di 6 anni ed il termine della crescita. Se viene estratto un antagonista un dente può erompere nonostante la dimensione verticale si dimostri stabile, ciò indica che il meccanismo eruttivo rimane inalterato e con la capacità di generare forze sufficienti a muovere i denti. Le forze generate dal legamento parodontale potrebbero giocare un ruolo fondamentale nello stabilizzare i denti dopo il raggiungimento della loro posizione verticale definitiva. Questa è probabilmente la sorgente delle forze che mantiene i denti stabili a dispetto dello sbilanciamento delle forze della lingua e delle labbra.

In ultima analisi appare che siano due i principali fattori che sono coinvolti nell’equilibrio che determina la posizione finale dei denti. Questi sono primariamente la pressione a riposo delle labbra e della lingua e secondariamente le forze prodotte dall’attività metabolica del sistema parodontale. Forze esterne possono giocare un ruolo importante sempreché queste siano mantenute per un numero adeguato di ore durante la giornata.

Fattori secondari dell’equilibrio La posizione posturale della testa è la relazione che questa ha con il collo e con il resto del corpo, non quando la muscolatura è a riposo, bensì quando non viene posta particolare attenzione alla posizione del capo. Questa relazione è stabilita a livello inconscio. La stessa cosa è vera per la posizione posturale della mandibola, della lingua e delle strutture associate. Studi recenti hanno dimostrato una relazione tra l’angolazione craniocervicale e sia la proporzione facciale sia la proporzione dentoalveolare. Maggiormente la testa è portata in avanti sul collo maggiormente

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la faccia si allunga. Normalmente la dentatura e i processi alveolari compensano le deviazioni nelle relazioni mascellari così da mantenere l’occlusione normale. Quando questi compensi non sono possibili, la postura del capo si correla con le altre caratteristiche facciali e dentali della “sindrome della faccia lunga”. Una postura bassa della mandibola e della lingua tendono a favorire un incremento dell’eruzione dei denti posteriori. Questa postura può determinare anche una costrizione dell’arcata dentale mascellare a causa della rimozione della pressione a riposo della lingua, e forse anche di un openbite a causa di una differenza eruttiva tra settore anteriore e posteriore. In conclusione alterazioni delle relazioni

posturali della testa, dei mascellari e della lingua sono caratteristici di pazienti con la “long face syndrome”. Una correlazione tra respirazione e morfologia dentofacciale è stata evidenziata nella letteratura ortodontica fin dai primi anni del 900. Le difficoltà nella respirazione nasale comportano un adattamento fisiologico che facilita la respirazione orale che comprende una posizione anteriore della testa sul collo, una posizione bassa della mandibola, ed una posizione bassa ed anteriore della lingua. Non esistono evidenze che queste problematiche respiratorie siano correlate con la sindrome della faccia lunga.

Fattori secondari correlati alle forze di eruzione Sembrerebbe ragionevole ipotizzare che la crescita porti la mandibola lontano dal mascellare creando lo spazio per l’eruzione dentale. E’ difficile inquadrare le componenti dell’equilibrio dentale in una prospettiva di fattori eziologici delle malocclusioni e delle deformità dentofacciali.

LA CONTENZIONE

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La contenzione al termine del trattamento ortodontico è stata definita da Moyers come “The holding of teeth following orthodonthic treatment in the tread position for the period of time necessary for the maintenance of the result”. Molti autori ritengono la contenzione l’aspetto più difficoltoso di un trattamento ortodontico. Già Oppenheim nel 1934 sosteneva che “Retention is the most difficoult problem in orthodontia; in fact is the problem”.

La base logica per mantenere i denti nella loro posizione di trattamento comprende: -) permettere la riorganizzazione delle gengive e del parodonto, -) minimizzare i cambiamenti dovuti alla crescita,

-) permettere un adattamento neuromuscolare alla posizione di correzione dei denti, -) mantenere i denti anche in posizione instabile, come talvolta è necessario per raggiungere un compromesso estetico.

Durante il normale sviluppo si evidenzia un modesto incremento della dimensione delle arcate fino all’eruzione dei canini permanenti. Da questo momento si osserva una riduzione del diametro intercanino. La distanza intermolare resta generalmente stabile tra i 13 ed i 20 anni e vi è una riduzione della lunghezza dell’arcata nel tempo. Un incremento dell’affollamento a carico degli incisivi inferiori si osserva durante la giovinezza, prevalentemente nel sesso femminile. Alcuni studi a lungo termine sulla contenzione hanno analizzato la stabilità

delle arcate dopo differenti modalità di trattamento. I vari gruppi studiati hanno mostrato modificazioni simili nei vari studi. Non è possibile prevedere questi cambiamenti nelle arcate usando variabili del tipo della classe di ANGLE, durata

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della contenzione, età del paziente, sesso, overbite o overjet pre-trattamento, larghezza o lunghezza dell’arcata. Dopo il trattamento ortodontico una riduzione della lunghezza dell’arcata e della distanza intercanina è evidente. La distanza intermolare, se espansa durante il trattamento, tende a ritornare al valore precedente. Queste modificazioni sono

più evidenti nella mandibola. Nonostante la maggior parte dei cambiamenti nelle arcate si siano visti prima dei 30 anni, l’affollamento degli incisivi inferiori prosegue fino alla quinta decade di vita. Così come riassunto da Little: “Treated cases should be viewed as dynamic and constantly changing, at least through the third and fourth decade and perhaps throughout life.”.

La maggior parte delle modalità di trattamento analizzate hanno mostrato un ridotto o scarso livello di allineamento degli incisivi mandibolari post-ritenzione, con più del 25% dei casi con un marcato affollamento. Solamente tre modalità di trattamento hanno evidenziato risultati accettabili a lungo termine: trattamento intercettivo in dentizione mista senza l’ausilio di apparecchiature fisse, terapia non- estrattiva con spazi generalizzati e i casi di estrazione degli incisivi inferiori. Per questa ragione vi è oggi la tendenza a eseguire contenzioni a permanenza.

GLI APPARECCHI DI CONTENZIONE Le motivazioni biologiche alla base della scelta di un apparecchio di contenzione sono: -) mantenimento del supporto parodontale, -) mantenimento di livelli ottimali di igiene orale -) mantenimento di forze funzionali su tutti i denti.

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Ritentori incollati da canino a canino Generalmente sono fabbricati in filo di acciaio intrecciato di .0195 o .0175 di diametro. La tecnica prevede l’adattamento passivo del filo su di un modello di lavoro. Il retainer viene poi incollato con l’ausilio di un jig o di un filo. La flessibilità relativa del filo intrecciato consente i movimenti fisiologici dei denti e previene le fratture dello smalto dovute alle forze occlusali. Utilizzando un sistema non-rigido si garantisce anche la stabilità del legamento parodontale. Lo svantaggio deriva dalle difficoltà di una corretta igiene orale, dalle recidive parziali dovute a distacchi parziali del retainer. Distacchi non riconosciuti precocemente possono anche condurre a decalcificazioni o carie. Fintanto che il retainer è in posizione il paziente andrebbe richiamato ogni 6 mesi.

Posizionatori I positioner sono ritentori in resina o altro materiale elastico che possono essere sia preformati sia realizzati individualmente. Generalmente i modelli preformati esistono sia per i casi estrattivi sia per quelli non-estrattivi. La taglia del ritentore viene scelta sulla base della dimensione mesiodistale dei 6 denti anteriori. Questi posizionatori preformati non possono, ovviamente, compensare variazioni individuali delle dimensioni dei denti, o discrepanze delle dimensioni o della forma di arcata sia problematiche relative all’indice di Bolton. Per questi motivi vengono generalmente utilizzati come ritentori temporanei. I posizionatori individuali vengono generalmente fabbricati su modelli montati in articolatore e dopo set-up dei denti così da ottenere un allineamento ideale. Questo permette di incorporare nell’apparecchio minimi movimenti di allineamento o di correzione occlusale. I posizionatori andrebbero indossati per tutto il giorno per i primi 2 giorni e

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poi 4 ore durante il giorno e tutta la notte per il periodo della contenzione. Per il periodo di indossamento diurno il paziente dovrebbe eseguire dei cicli di serramento di 20 secondi seguiti da 20 secondi di riposo. Se il paziente segue queste istruzioni i movimenti progettati con il set-up si ottengono nelle prime 3 settimane e il positioner diventa un apparecchiatura passiva.

Gli svantaggi di questa metodologia sono i costi, gli errori nella fabbricazione dell’apparecchio, la difficoltà di contenere le rotazioni e le correzioni dell’overbite, e le difficoltà di accettazione e collaborazione da parte dei pazienti.

Ritentori rimovibili in resina acrilica Numerosi autori hanno proposto progetti o modelli più o meno personali ed

originali di questo tipo di apparecchiature. Fondamentalmente si compongono di: a) Una base in resina acrilica o termostampata che copre il palato o la gengiva linguale inferiore adattandosi ai colletti di tutti i denti; b) Un sistema di ancoraggio composto da ganci di Adams, oppure a palla o a losanga

c) Un arco vestibolare destinato a contenere il movimento degli incisivi o di tutti i sei denti anteriori. Questo arco può essere resinato oppure, in alcune proposte, originare dal distale dell’ultimo molare superiore presente in arcata e circondare tutta la dentatura.

La prescrizione più comunemente riscontrata in letteratura prevede di farli indossare ai pazienti per tutta la giornata per 1 o 2 settimane e, successivamente, la notte e da 2 a 6 ore durante il giorno.

L’inconveniente principale di queste apparecchiature consiste nella loro rigidità. Infatti, se non vengono indossati adeguatamente, sia in termini di tempo che di posizione, al manifestarsi della minima recidiva non calzano più in bocca

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peggiorando la situazione senza avere alcuna capacità di reagire ai cambiamenti della dentatura.

Ritentori Trasparenti Termostampati Proposti inizialmente da Sheridan oggi sono uno dei metodi di contenzione

più utilizzati. Si compongono di una mascherina termostampata trasparente che ricopre le superfici di tutta la dentatura ed una quantità di gengiva e palato variabile a secondo degli autori. Sono indubbiamente uno dei sistemi di contenzione di più semplice fabbricazione ed economicità. Esiste anche una variante proposta da Osamu che prevede l’associazione di due materiali un elastico ed uno rigido così da poter differenziale la forza a cui sono soggetti i denti.

PRINCIPI DELLA CONTENZIONE Molti principi possono essere applicati alla stabilizzazione, guida e mantenimento dell’occlusione alla fine di un trattamento ortodontico completo. Questi principi generali possono essere così schematizzati: -) la contenzione deve essere presa seriamente – dopo un dettagliano piano di trattamento ed un difficile lavoro durante il trattamento, dobbiamo mettere in atto la miglior assicurazione per la perfezione. -) la contenzione spreme all’ortodonzista tutto il suo sapere e la sua abilità -) e’ necessario dirigere un antagonismo contro le tendenze alla recidiva dopo un

nuovo studio dei modelli originali e dei muscoli facciali -) più anziano è il paziente più lunga dovrà essere la contenzione -) una contenzione prolungata potrebbe essere meno fastidiosa di un grave

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recidiva dell’occlusione -) E’ estremamente difficile contenere risultati non finiti -) il fallimento totale è certo se non sono state rimosse le cause della malocclusione -) problemi respiratori non risolti con respirazione orale pongono un serio handicap per il successo a lungo termine -) la contenzione deve ricevere la medesima attenzione in entrambe le arcate, e queste lavorano le une contro le altre -) le risorse che possono supportare la contenzione sono l’uso di denti adiacenti, la creazione di dentoni, la funzione dei piani inclinati e le forze extra orali -) il progressivo e guidato rilascio dei denti dall’apparecchiatura fissa costituisce una procedura di test -) i ritentori mobili possono essere vittime di una scarsa collaborazione e invitano al fallimento, pertanto sono preferibili i ritentori fissi soprattutto nell’arcata inferiore -) quando viene organizzata in un sistema una check-list delle procedure di contenzione fa risparmiare al clinico molto tempo, dolore e disperazione. -) lo stripping può essere indicato e può, selettivamente, essere praticato prima, durante e dopo il trattamento

Una corretta diagnosi, in alcune condizioni di grave affollamento, fornisce l’indicazione per lo stripping interprossimale. Una usuale procedura clinica è quella di attendere la recidiva prima di occuparsi del problema. La letteratura ci evidenzia una serie di fattori che gerarchicamente dovremmo tenere in considerazione: Incisivi inferiori più larghi del normale Angoli facciali recessivi Alti valori degli angoli gnomonici facciali.

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Un angolo mandibolare alto ( faccia lunga) Quando questi si assommano in un paziente, lo stripping dovrebbe essere iniziato durante il trattamento o all’inizio della contenzione, piuttosto che attendere che si evidenzi un affollamento. Al di là dell’arco ideale o dello straight wire dovrebbe essere programmata una verifica dell’ipercorrezione delle condizioni originali in ogni loro aspetto. Sarebbe bene rivedere il modello originale prima della contenzione e valutare quali condizioni richiedono una maggior attenzione di ipercorrezione. La tendenza al movimento nel tempo dei denti varia da individuo ad individuo ed è influenzato dai muscoli e da patterns muscolari. Tuttavia alcune generalizzazioni di questa deriva sembrano essere più frequenti, A) modificazione nell’arcata inferiore come evidenziabile nella sovrapposizione del corpo mandibolare registrato su Pm -) i molari inferiori tendono a spostarsi mesialmente e a raddrizzarsi se tippati posteriormente, ma non se tippati mesialmente -) un premolare inferiore può derivare mesialmente, distalmente o lingualmente ma mai vestibolarmente -) i canini inferiori e gli incisivi tendono a spostarsi distalmente salvo nei casi di

sbilanciamento funzionale labio-linguale B) modifiche nell’arcata superiore evidenziabili nella sovrapposizione del piano bispinale registrato su SNA

-) il molare superiore tende a spostarsi mesialmente, tippare mesialmente e ruotare anteriormente attorno alla radice palatina -) i premolari superiori tendono a spostarsi mesialmente e a ruotare anteriormente nel alto buccale e nonostante abbiano una tendenza di deriva distale ciò accade

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raramente nelle classi 1 o 2 -) i canini superiori quando sono liberati dalla pressione labiale, tendono a spostarsi mesialmente ed a mantenere la loro inclinazione assiale -) gli incisivi superiori tendono fortemente a migrare all’avanti, a meno che non ne siano impediti dal labbro inferiore. In alcune rare condizioni, tuttavia, possono mostrare un movimento corporeo distale.

Problemi durante la contenzione – una gerarchia del rischio E’ interessante effettuare una revisione delle problematiche che avvengono durante la recidiva sulla base di una gerarchia di gravità. L’esame dei possibili fattori di fallimento nelle specifiche condizioni può essere una precondizione per la stabilizzazione e una guida per pianificare le procedure future. La tendenza alla recidiva avviene nei tre piani dello spazio: trasversale, orizzontale e dimensione verticale.

Rating delle difficoltà di contenzione

1- chiusura degli spazi estrattivi — particolarmente negli adulti — apertura di diastemi

2- cross-bite — chirurgia della labiopalatoschisi — collassamento dell’arcata mascellare dovuta alla postura linguale — tipologia facciale alta

3- open bite — avanzamento mandibolare chirurgico — open bite posteriore dovuto a interposizione linguale laterale — open bite anteriore in soggetti con abitudini linguali alterate

— respirazione orale continuata e cronica

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4- rotazioni — tutti i denti quando “sotto trattati” 5- retrusione degli incisivi laterali — in ambedue le arcate seguire da reimbrication dei segmenti anteriori 6- classe III — trattate non-chirurgicamente

— trattate chirurgicamente con problemi linguali 7- classe II — sottotrattate

— condizioni iatrogene dell’ATM — deriva mesiale dell’arcata mascellare — deriva distale dell’arcata mandibolare — modello di crescita regressivo

8- deep bite — in seguito a livellamento con tecnica straight wire ed estrusione posteriore 9 – recidiva dell’overjet — con protrusione superiore

— con retrusione inferiore

— ambedue le condizioni 10 – derangement — dislocazione distale del condilo

LA CONTENZIONE SECONDO R.M. RICKETTS IN BIOPROGRESSIVA Ricketts sostiene che la migliore contenzione consiste nel contentore mobile superiore e nello splintaggio inferiore da 4 a 4.

Mantenitore fisso inferiore premolare-premolare L’integrità delle arcate inizia da quella inferiore. Nell’arcata inferiore, quando è iniziato l’affollamento, è assurdo utilizzare una placca di Hawley, in quanto questa fu originariamente progettata come mero mantenitore. Nelle arcate inferiori strette, quando il ritentore mobile viene dimenticato anche solo per poche notti, la

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recidiva può iniziare, il ritentore non calza più e il paziente inizia a lamentarsi con l’ortodontista. I denti anteriori inferiori vanno mantenuti in avanti in tutti i casi e un applicazione fissa è il sistema migliore. Argomenti a favore della ritenzione da premolare a premolare rispetto a

quella da canino a canino: 1- in alcuni casi lo spintaggio inferiore da canino a canino tende a slittare di lato e un canino può migrare labialmente mentre l’altro scivola in direzione controlaterale 2 -un deep bite può tendere a recidivare a causa dell’estrusione dei sei denti anteriori inferiori. Uno splintaggio da 3 a 3 non previene questa condizione. In altre parole non supporta verticalmente i premolari. 3- utilizzando i primi premolari inferiori ( o i secondi nei casi con estrazione) per il retainer, i canini e gli incisivi inferiori possono essere mantenuti verso il basso e l’overbite viene supportato verticalmente. 4- mantenendo i premolari lateralmente e correttamente ruotati, può essere conservata la forma d’arcata. Questo tipo di sostegno non stabilizza solamente l’arcata inferiore, ma, tramite le forze occlusali aiuta a mantenere l’espansione dei premolari superiori. 5- mantenendo i premolari inferiori in senso vestibolare e diritti si stabilisce un buon obbiettivo o riferimento per la posizione dei canini superiori. 6- lasciando liberi i canini inferiori, questi sono spinti a mantenere la loro inclinazione assiale e funzione. Questo è importante per la loro funzione di guida funzionale per la mandibola. 7- un ritentore da premolare a premolare consente adattamenti e modifiche. 8- quando i canini inferiori sono uniti da una barra linguale vi è la possibilità della perdita di propriocezione e di nascita di stimolazione funzionale. I canini sono denti molto importanti per la propriocezione, questa è un’altra importante

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considerazione.

Ritentore superiore di Ricketts Per i denti superiori, questo apparecchio consiste in tre componenti: il piano palatino a U, l’arco anteriore e il gancio sul molare. Il piano palatino, con o senza un leggero piano inclinato è coerente con la filosofia bioprogressiva. Adattamento del piano: il concetto principale è quello di consentire una guida dentale scaricando alcuni denti per consentirne l’eruzione.

La porzione distale del margine gengivale dei molari e dei premolari è ridotta nell’apparecchiatura per promuovere e invitare la loro rotazione distale e bloccare i molari antagonizzando unicamente la loro superficie mesio-linguale. I margini cervicali dell’apparecchio per i canini e per gli incisivi è modificato sulla base delle esigenze individuali.

Nota bene: la correzione di posizione degli incisivi laterali viene eseguita solamente al termine del trattamento. Nella prescrizione 4D non è presente alcuno step-in per gli incisivi laterali a causa della necessità di ipercorrezione per la posizione di protezione labiale del laterale inferiore. Un leggero scarico del piano palatino consente all’incisivo laterale superiore, con una funzione sull’inferiore bloccato dal ritentore fisso, di aggiustare la propria posizione così come un modesto step eseguito sull’arco anteriore se lo si desidera. Il “return wire” anteriore”: l’arco vestibolare emerge tra canino e laterale per mantenere il canino nella giusta posizione rispetto al primo premolare inferiore che è l’obbiettivo. Il mantenitore di Hawley, utilizzato da molti ortodonzisti, ha l’arco esteso tra il canino ed il primo premolare e tende a muovere il canino mesialmente e modificare l’occlusione ottenuta con il trattamento. Posizionare l’arco nel piccolo

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spazio mesiale al canino trae vantaggio anche dalla forma naturale della faccia distale dell’incisivo laterale superiore. L’arco vestibolare consente 5 principali regolazioni. Primo, similarmente ad ogni arco vestibolare, può ricevere pieghe di I° ordine per la posizione o la rotazione degli incisivi. Secondariamente fornisce la possibilità del controllo rotazionale dei canini in entrambe le direzioni tramite un’azione a fermaglio distale o una piega nella sezione labiale. Terzo, l’arco anteriore può essere accorciato o ristretto per la chiusura dello spazio tramite steps mesiali ai canini. Quarto, la piega può essere fatta gengivalmente o palatalmente quando vi è la necessità di un controllo del torque radicolo linguale, mentre, se è necessario un movimento corono linguale lo step può essere fatto incisalmente. Quinto, l’allentamento o lo stringimento dell’apparecchiatura può essere fatta direttamente all’unione tra canino e laterale.

Il gancio a palla: ( o stop finale) Ë usato spesso solo sul secondo molare. Se viene esteso sul quarto distale della superficie vestibolare si ottiene un effetto di controllo per mantenere il molare ruotato distalmente. Quando un gancio lungo viene prolungato attorno alla porzione mesiale del molare questo tende a far ruotare il molare mesialmente ( nella direzione errata). Il gancio aiuta a chiudere gli spazi, a stabilizzare l’applicazione durante la chiusura dei denti, è più confortevole e favorisce una migliore collaborazione da parte del paziente.

REALIZZAZIONE DI UN RITENTORE FISSO 4X4 INFERIORE ESTETICO Abbiamo già esposto le tesi di R.M. Ricketts a favore di una contenzione 4×4 fissa inferiore rispetto ad una 3×3. Quest’ultima è certamente maggiormente utilizzata dagli ortodonzisti in quanto è molto complesso effettuare uno splintaggio fino al primo premolare a causa dell’anatomia linguale dell’arcata inferiore.

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Analogo problema si pone, infatti, nella terapia linguale con apparecchiatura multiattacchi, e viene risolto con l’oramai noto arco a fungo. La tecnica di splintaggio prevede però l’utilizzo di fili metallici morbidi e relativamente flessibili

così da consentire una quasi normale fisiologia dentale. Con questi fili è molto difficile creare un filo di splintaggio con forma a fungo stabile nel tempo. Infatti, le due pieghe di I° ordine necessarie tenderebbero a deformarsi, oltre alla considerazione che il punto di passaggio tra canino e premolare risulterebbe un punto di minore resistenza e possibile frattura dello splint. D’altra parte la tecnica usata da Ricketts che prevede l’utilizzo di bande sui premolari inferiori con un filo saldato a queste è oggi poco proponibile per tre fattori. I° buona parte dei clinici non hanno più bande premolari nel loro magazzino stante il ridottissimo utilizzo che oggigiorno ne viene fatto. II° le bande possono sempre avere una tendenza alla decementazione, soprattutto parziale, con possibili rischi di perdita o rottura dello splint o decalcificazioni dei denti. III° la tendenza attuale è quella di apparecchiature con il minor impatto estetico possibile, e, due bande metalliche sui premolari, non sono certamente estetiche. Questi motivi tendono a far preferire uno splintaggio da canino a canino.

Nella nostra esperienza clinica abbiamo voluto adattare i concetti di contenzione inferiore dettati da Ricketts con la moderna ortodonzia. Per questo motivo abbiamo pensato di utilizzare gli attacchi Forestadent 2D ( già noti come attacchi Philippes ) per supportare un sottile arco linguale di titanio che funge da filo di splintaggio. Questi attacchi, come è noto, sono molto sottili e poco ingombrati, di facile utilizzo e gestione in quanto si tratta, in ultima analisi, di pads con saldati dei gancetti che fungono da supporto per l’arco. Nella progettazione dell’apparecchiatura di contenzione abbiamo voluto rispettare il più possibile i dettami di Ricketts, soprattutto per quanto riguarda la relativa

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libertà di movimento dei sei denti frontali inferiori. Per questo motivo abbiamo pensato di utilizzare gli attacchi singoli ( cioè con una sola aletta) su questi denti, applicando, invece, un tradizionale attacco gemellare ( a due alette ) sui quarti inferiori ( o sui quinti nel caso di estrazioni). L’utilizzo di attacchi singoli garantisce un’unione tra arco linguale e attacco quasi puntiforme e consente anche di rispettare alcuni altri parametri. Primo fra tutti quello di non perdere le eventuali informazioni di secondo ordine trasmesse ai denti dall’apparecchiatura vestibolare utilizzata durante la terapia attiva. Gli attacchi 2D prevedono anche l’utilizzo di fili rotondi e questo consente di non perdere o variare le informazioni di III° ordine date ai denti frontali inferiori nel corso della terapia attiva. In aggiunta a queste caratteristiche il nostro modello di ritentore 4×4 prevede l’utilizzo di un arco linguale di titanio del diametro di 0.010 che è di gran lunga più sottile dello spazio che gli attacchi 2D forniscono per l’arco. In questo modo si garantisce un’ulteriore libertà ai denti. Un filo di titanio del diametro di 0.010 ha una forza di disattivazione di circa 15 / 20 g. che è più che adeguata al mantenimento dei denti, pur non trasmettendo forze indesiderate, soprattutto in seguito alle sollecitazioni dovute alla masticazione.

Così progettato questo ritentore garantisce il mantenimento della distanza interpremolare ed intercanica, mantiene gli incisivi inferiori nella corretta posizione prevenendo movimenti di vestibolarizzazione o di lingualizzazione, evita l’estrusione dei sei denti anteriori inferiori ancorandoli ai premolari. L’arco fabbricato in titanio prevede di appoggiarsi in modo passivo nelle guide dei brackets 2D pertanto, a volte è necessario effettuare una piega di I° ordine tra l’incisivo laterale ed il canino a causa dell’anatomia linguale dei canini inferiori, che, spesso, sono più spessi, in senso labio-linguale, rispetto agli incisivi. Di seguito l’arco prevede le pieghe necessarie per ottenere una forma a fungo con

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gambo corto così da superare il gap tra canino e premolare. Alla fuoriuscita dall’attacco incollato sul premolare l’arco viene sagomato ad occhiello per impedirne lo scorrimento, e questo occhiello viene ricoperto di composito al fine di renderlo più confortevole.

L’apparecchiatura si dimostra ben tollerata dai pazienti per la sua poca invasività, per la sua robustezza e per le sue caratteristiche di igienicità. Infatti questo tipo di ritentore consente di utilizzare il filo interdentale senta troppa difficoltà così da non impedire una corretta igiene orale. Tutto l’insieme è molto sottile e liscio così da consentire una facile igiene orale con lo spazzolino. Gli attacchi così incollati si dimostrano molto comodi anche per le sedute di igiene orale professionale durante le quali, se del caso, è sempre possibile rimuovere l’arco di mantenimento, senza scollare gli attacchi, per poi reinserirlo al termine della seduta.

Ulteriore vantaggio di questa apparecchiatura consiste nella possibilità di inserire alcune informazioni nell’arco linguale e, quindi di utilizzarlo come una vera e propria, seppur parziale, apparecchiatura linguale per ogni evenienza. Oltre a quanto sopra detto questo ritentore consente anche di procedere alla rimozione dell’arco, mantenendo in situ gli attacchi, per verificare la stabilità dei denti prima di procedere al termine definitivo della contenzione. Nel caso di tendenze alla recidiva è sufficiente riposizionare l’arco, sempre che si abbia avuto l’accortezza di conservarlo, oppure di fabbricarne un altro e, grazie alle caratteristiche elastiche dei fili in nichel titanio, recuperare rapidamente una eventuale recidiva.

Un’atra interessante caratteristica della nostra proposta è quella di consentire lo stripping interprossimale periodico degli incisivi inferiori senza la necessità di rifare lo splintaggio. Questa pratica è consigliata da alcuni autori come prevenzione

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della tendenza all’affollamento, o al riaffollamento, degli incisivi inferiori tipica della razza caucasica tra i 20 ed i 30 anni. Con questo ritentore è sufficiente rimuovere l’arco, procedere allo stripping e riposizionare l’arco oppure procedere alla modellazione di uno nuovo quando ve ne si riscontri la necessità, ad esempio per favorire la chiusura dello spazio determinato dallo stripping.

Gli attacchi Forestadent 2D pur non consentendo ( con l’uso dello pseudo-slot di cui sono corredati ) di fare movimenti di terzo ordine, possono essere utilizzati per prevenire cambiamenti di torque dei denti. In questo caso noi utilizziamo un arco 0.016×0.016 in nichel titanio che, quando inserito nelle clip e bloccato non consente rotazioni sull’asse corono-linguale dei denti. Noi utilizziamo questa procedura quando abbiamo terminato una terapia ortodontica con gli incisivi inferiori in una posizione di compromesso come ad esempio una loro posizione estremamente avanzata sul Piano Dentale APo o una loro retro-inclinazione nei compensi di terza classe. Al fine di evitare movimenti di torque applichiamo un arco quadrato 0.016×0.016 per i primo 6/10 mesi così da aumentare la stabilità del sistema per poi passare al tradizionale arco 0.010.

L’applicazione degli attacchi 2D può essere effettuata con tecnica diretta o con tecnica indiretta. Vista la facilità di applicazione noi preferiamo l’applicazione indiretta. Il protocollo da noi utilizzato è il seguente.

Viene praticata la mordenzatura dello smalto con acido ortofosforico. La guida per

l’applicazione degli attacchi è fornita dal primo premolare inferiore che, per la sua anatomia, consente una limitata flessibilità di posizionamento. Viene, pertanto applicato il bond ed incollato l’attacco 2D su entrambi i premolari inferiori. Prima di applicare l’adesivo su canini ed incisivi, viene segnato con apposito calibro marcatore munito di punta a mina l’altezza alla quale si vuole incollare gli attacchi.

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Nella nostra pratica utilizziamo il calibro per misurare l’altezza del margine superiore della basetta dell’attacco del premolare, altezza che verrà poi riportata sugli altri denti. Nel caso di contenzione di un’intrusione dei 6 denti anteriori preferiamo ridurre di 0,5 / 1 mm questa misura per aumentare l’effetto dell’apparecchiatura. Si procede quindi all’incollaggio dei 6 attacchi anteriori. Al termine dell’incollaggio degli attacchi verrà sagomato il filo in nichel titanio in modo che si adagi passivamente in tutti gli pseudo-slot degli 8 denti. Dopo aver provveduto alla chiusura delle alette il paziente può essere dimesso. Nella nostra pratica clinica l’intera procedura richiede 30 minuti. Nel caso in cui la terapia ortodontica attiva abbia comportato un cambiamento di forma dell’intera arcata inferiore, ma ultimamente noi riteniamo che questo passaggio dovrebbe essere sempre effettuato, prima di inserire l’arco si provvede a prendere un’impronta con gli attacchi incollati così da poter fabbricare un apparecchio rimovibile in materiale termostampato da far indossare al paziente. Avvertenza importante è quella di proteggere adeguatamente la zona linguale dei modelli dove sono posizionati gli attacchi e l’arco così che il paziente possa indossare l’apparecchio con il ritentore fisso montato. Il nostro protocollo prevede il termostampaggio di un apparecchio con dischi rigidi dello spessore di mm 1 che verrà indossato unicamente durante le ore di sonno notturno, essendo sufficiente durante il resto della giornata l’azione del ritentore 4×4. Ultimo, ma non trascurabile, vantaggio di questa tecnica consiste nel fatto che, eventuali seppur rarissimi, distacchi degli attacchi 2D o rotture del filo sono immediatamente percepiti dal paziente così da poter provvedere all’immediata riparazione. Questo a differenza di quanto accade, spesso, con i ritentori bondati che non sempre consentono al paziente di percepire distacchi o fratture. Nella nostra casistica su 50 contenzioni effettuate con questa metodica abbiamo

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avuto 2 rotture dell’arco di titanio ( in entrambi i casi nel punto di piega tra canino e premolare e quindi, con grande probabilità da imputarsi ad errori nella modellazione del filo) e 7 distacchi di bracketts 2D sempre a carico dei premolari inferiori e mai degli altri denti.

Vista l’affidabilità della metodica questa ci consente di effettuare un solo controllo ogni 12 mesi dei pazienti in contenzione a lungo termine, mentre una seconda verifica viene effettuata da parte dell’igienista in occasione della seduta di igiene semestrale. Il nostro consiglio ai pazienti è quello di mantenere la contenzione fissa inferiore fino a 20/22 anni di età.

Tutto ciò comporta una notevole riduzione dei tempi di studio e minor impegno dei pazienti. Nel caso al ritentore linguale 4×4 venga aggiunto un ritentore mobile stampato i controlli sono calendarizzati ogni 4 mesi come di consuetudine per la contenzione mobile.

Ultima considerazione da fa questa metodica è che lo spessore dell’apparecchiatura consente il suo utilizzo anche in associazione con la

contenzione funzionale tramite apparecchiatura Multi-P così come verrà discussa in un successivo paragrafo. L’unico adattamento, a volte, necessario è quello di aumentare leggermente lo spazio a disposizione del primo premolare nel silicone del Multi-P.

MODIFICHE E VARIAZIONI DEI RITENTORI TERMOSTAMPATI Attualmente l’utilizzo di ritentori stampati in materiale termoplastico si sta sempre più diffondendo grazie al ridotto costo di questi, alla loro versatilità ed alla loro buona accettazione da parte dei pazienti sia per il ridotto spessore sia per l’esteticità degli stessi.

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Ulteriore vantaggio di questo tipo di apparecchiatura consiste nella possibilità di effettuare un set-up dei modelli prima di effettuare la stampata per ottenere ulteriori piccole correzioni finali oppure di modificarli, nel corso del tempo con le pinze di Hlliers.

Alla classica tecnica di stampaggio dell’impronta colata in gesso noi abbiamo apportato alcune piccole modifiche che consentono una contenzione più mirata nonché il rispetto degli insegnamenti di Ricketts in merito alla contenzione mobile superiore.

La prima modifica consiste nel consentire un adeguato spazio di eruzione per il secondo premolare superiore che, come è noto, è la chiave dell’occlusione di prima classe di Angle. Questo spazio eruttivo e favorito forando la mascherina nella superficie occlusale e lasciando un leggero grado di libertà vestibolare al dente, mentre non si lascia spazio per una eventuale recidiva palatale del dente. Per ottenere ciò sul modello verrà compensato il sottosquadro del dente a partire dall’equatore fino al margine occlusale palatino, lasciando la mascherina a contatto della superficie palatina gengivale all’equatore. La superficie vestibolare del dente verrà completamente inspessita di qualche decimo di mm al fine di garantire libertà di movimento.

La seconda modifica consiste nel consentire o favorire una tendenza alla rotazione distale dei molari superiori tramite ispessimento e molatura dei denti sul modello. Anche in questo caso la modifica sarà dell’ordine di pochi decimi di mm e consiste nell’ispessimento del terzo vestibolo-mesiale e linguo-distale e nel molaggio del terzo vestibolo-distale e linguo-mesiale dei denti così da creare una pseudocoppia di forze destinata a mantenere la rotazione e/o a contrastare la tendenza alla rotazione mesiale. Questa modifica consente anche una maggiore stabilità del ritentore in bocca.

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La terza modifica consiste nel molaggio di qualche decimo di mm del margine incisale dei 4 incisivi al fine di aumentare l’effetto ritentivo in termini di prevenzione di una loro eventuale estrusione. Nel caso d’utilizzo di apparecchiature che non hanno preinserite le informazioni di secondo ordine negli incisivi laterali superiori come nel caso della prescrizione Ricketts standard ma anche la 4D, può essere, come per il ritentore mobile superiore di Ricketts lasciato uno spazio per la lingualizzazione controllata degli incisivi laterali. Ultima variante che viene spesso effettuata è quella di modificare la mascherina a livello della ruga palatina al fine di creare uno stimolo di rieducazione e stimolazione linguale soprattutto nei pazienti che avevano un postura linguale

bassa prima della terapia. Oppure, ed è la forma che preferiamo, è possibile creare un’area libera di palato tra le rughe palatine e la superficie linguale degli incisivi al fine di formare un’indicazione al posizionamento della lingua. Così come da noi concepito la fabbricazione del ritentore, che avviene in studio sarà la seguente:

Dopo aver preso un’impronta la più precisa possibile si provvede al confezionamento del modello in gesso. La prima operazione sarà quella di molatura del gesso ed in particolare: Margine incisale degli incisivi e superfici dei molari per il controllo della rotazione mesiale. Si procede poi ad una leggerissima molatura della superficie vestibolare del primo premolare al fine di aumentare la ritenzione della mascherina in bocca. Si procede poi al compenso delle superfici da aumentare. Nella nostra pratica clinica noi utilizziamo il prodotto erko-skin che è un silicone autopolimerizzabile appositamente dedicato a questo scopo. Si procede quindi al compenso sui molari ed eventualmente sulla superficie linguale degli incisivi laterali. Si procede poi alla

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correzione del sottosquadro palatino del secondo premolare. Viene poi creato l’eventuale rigonfiamento utilizzato come stimolatore linguale. Al termine di questa operazione vengono con una matita a punta fine marcati i colletti di tutti i denti al fine di una più agevole rifinitura dell’apparecchio dopo la termo-formazione. Nel caso si desideri uno spazio libero palatino per la rieducazione linguale questo viene disegnato con la matita. A questo punto viene stampato il ritentore e rifinito come d’uso. Noi utilizziamo dischi rigidi dello spessore di mm 1 o 1,5. Dopo la rifinitura verrà praticato il foro per la libertà di eruzione del secondo premolare superiore. Questa contenzione potrà essere poi fatta indossare con le modalità tipiche di ogni clinico. Noi istruiamo il paziente a portarla tutto il tempo in cui non è a scuola per il primo mese e, successivamente, la sera da quando a finito di cenare fino al risveglio al mattino più tutta la domenica. Nella nostra esperienza clinica questa metodica è risultata adeguata per mantenere i risultati della terapia ortodontica.

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LA RITENZIONE FUNZIONALIZZATA Una delle ipotesi più accreditate sulla recidiva ortodontica riguarda un non raggiunto equilibrio tra le posizioni dentali ottenute e le funzioni muscolari del soggetto. La contenzione dovrebbe favorire, con il tempo, l’adattamento della funzione muscolare alla nuova posizione dentale mantenendo questa stabile tramite gli apparecchi di contenzione. La nostra idea è quella di favorire questo adattamento utilizzando durante la contenzione un apparecchiatura mio-funzionale di quelle utilizzate prima del trattamento ortodontico. Nella nostra pratica clinica utilizziamo l’apparecchiatura Multi-P innanzitutto perché è quella che normalmente utilizziamo a scopo rieducativo e, quindi è già presente nel nostro magazzino, secondariamente in quanto prevede due modelli uno per i soggetti normo o brachi facciali ed uno per i pazienti dolico facciali, consentendoci così un miglior adattamento alle tipologie del paziente. Ulteriore fattore che ci ha portato all’utilizzo di questa apparecchiatura è che,

grazie alla sua conformazione, è possibile utilizzarla congiuntamente al ritentore linguale 4×4 da noi utilizzato oppure, nei casi di trattamento intercettivo, in associazione ad un arco linguale destinato a mantenere il lee-way space. L’apparecchiatura Multi-P è conformata similmente ad un positioner preformato ma, a differenza di questi, ha una forma ben definita solamente per i 6 denti anteriori superiori ed inferiori mentre per i denti diatorici presenta solamente una guida.

La scelta della misura dell’apparecchiatura verrà effettuata, tramite un apposito misuratore, sulla base del diametro mesio-distale dei denti anteriori. La problematica che abbiamo dovuto superare nell’utilizzo di questo apparecchio per la contenzione è stata quella del mantenimento della posizione raggiunta con il

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trattamento da parte dei denti anteriori superiori. Per fare questo era necessario un miglior adattamento delle cavità preformate presenti nell’apparecchiatura ribasandole. Purtroppo questo ha portato a notevoli difficoltà in quanto il Multi-P è fabbricato con un materiale siliconico sul quale non aderisce quasi alcun materiale. Alla fine della nostra ricerca merceologica, e dei nostri tentativi empirici, abbiamo trovato la soluzione con l’uso di materiale autopolimerrizzabile siliconico ideato per la boxatura a freddo delle protesi rimovibili. Previa un leggerissimo irruvidimento e foratura della superficie interna del Multi-P è possibile ribassare il settore interessato direttamente in bocca al paziente, oppure su di un modello ingesso sul quale sia stato effettuato un set-up.

UNA SOLUZIONE PER LO SPLINTAGGIO ESTETICO Alcune volte la ritenzione fissa presenta la necessità di particolari adattamenti, sulla base della tipologia del paziente e/o della durata che questa dovrà avere. La nostra attenzione si è fissata sulla possibilità di effettuare una contenzione estetica. La necessità di una contenzione maggiormente estetica rispetto a quella tradizionale 4×4 che effettuiamo con gli attacchi 2D si evidenzia in alcuni soggetti adulti che hanno particolari esigenze di estetica oppure nelle contenzioni molto prolungate nel tempo. Utilizziamo questa contenzione anche nei pazienti che hanno portato la contenzione 4×4 se desiderano mantenere i loro denti anteriori legati anche al termine del periodo programmato per la contenzione. La metodica da noi utilizzata prevede l’utilizzo di un filo di Nylon del diametro di mm 1. Il filo viene incollato sui denti per mezzo del tradizionale composito ortodontico previa mordenzatura e applicazione dell’adesivo.

Nella nostra pratica clinica abbiamo effettuato 125 splintaggi con questa

42

metodica. Gli splint sono in bocca ai pazienti da un tempo variabile da 4 anni a 3 mesi. In questo periodo di tempo abbiamo avuto 7 distacchi parziali e due distacchi totali dello splintaggio. Un distacco totale ed 1 parziale sono incorsi allo stesso paziente, questi dati dimostrano l’efficacia della tecnica utilizzata.

CONCLUSIONI Stante l’analisi della letteratura e la nostra esperienza clinica non è

possibile avere certezze sulla contenzione ortodontica se non quella che questa e’ indubbiamente necessaria, A tal fine è indispensabile poter programmare la contenzione fin dalla

programmazione terapeutica del caso e, comunque, al termine della terapia effettuare una completa raccolta di records al fine di effettuare una “diagnosi delle necessità di contenzione” sulla base dei risultati ottenuti. E’ nostro parere, inoltre, che sia necessario avere più metodiche di contenzione, flessibili ed efficaci e che possano garantire da un lato il mantenimento dei risultati ottenuti e dall’altro una facilità di gestione da parte del paziente e dell’ortodontista.

43

INDICE ANALITICO

C

CONCLUSIONI · 44 G

GLI APPARECCHI DI CONTENZIONE · 22 Ritentori Incollati Inferiori · 22

I

Introduzione · 3 L

L’EQUILIBRIO FUNZIONALE · 14 L’IPERCORREZIONE · 12 L’OCCLUSIONE COME FONTE DI STABILITA’ · 12 LA CONTENZIONE · 7, 20 LA CONTENZIONE SECONDO R.M. RICKETTS IN BIOPROGRESSIVA · 29 LA RECIDIVA · 4 LA RITENZIONE FUNZIONALIZZATA · 42 LE CAUSE DI MALOCCLUSIONE · 11

M

MODIFICHE E VARIAZIONI DEI RITENTORI TERMOSTAMPATI · 38

P

Posizionatori · 22 PRINCIPI DELLA CONTENZIONE · 25 Problemi durante la contenzione – una gerarchia del rischio · 27

R

Rating delle difficoltà di contenzione · 28 REALIZZAZIONE DI UN RITENTORE FISSO 4X4 INFERIORE ESTETICO · 32 Ritentori rimovibili in resina acrilica · 23 Ritentori Trasparenti Termostampati · 24

U

UNA SOLUZIONE PER LO SPLINTAGGIO ESTETICO

· 43 Bibliografia pagina 1 di 23

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